PATRICK di Paola Gianinetto.


Dopo l’enorme successo di Kyler, Paola Gianinetto torna con la sua saga Principi azzurro sangue. Un romanzo di suspense e passione, da leggere tutto d’un fiato.




Genere: Paranormal Romance - Adult
Editore: Emma Books
Pagine: 299
Prezzo: € 4,99
Uscito: 11 maggio 2013







Sinossi:
Far innamorare un vampiro può essere pericoloso. Ne sa qualcosa Anita, antropologa italiana affascinata dal mondo degli immortali e decisa a raccogliere prove sulla loro esistenza. Quando la ragazza si ritrova, suo malgrado, oggetto del desiderio di un giovane e sprovveduto vampiro, viene convocato Patrick Moran, uno degli Antichi più temuti, il quale, rendendosi conto della minaccia, decide che c’è un’unica soluzione: uccidere Anita. Sì, perché Anita, in quanto Discendente, è in parte immune dalla manipolazione mentale che i vampiri sono soliti esercitare per controllare gli umani. Ma Patrick ha un cuore e non se la sente di eliminare un’innocente. Non solo. Con lei Patrick riscopre sentimenti umani che credeva ormai perduti. Ma il pericolo degli altri Antichi incombe su di loro. 



La serie "Principi azzurro sangue" è così composta:
1 - KYLER
2 - PATRICK 



Estratto:
«Posso sedermi con te?»
Si voltò di scatto al suono della voce profonda e rimase congelata in quella posizione, con la bocca socchiusa e le punte delle dita incollate alla guancia destra.
Davanti a lei c’era l’uomo più bello che avesse mai visto.
Oddio, definirlo “bello” era alquanto riduttivo, in realtà. I folti capelli rosso scuro, le linee forti e mascoline del viso perfetto, le spalle larghe e i muscoli d’acciaio che si indovinavano sotto la camicia leggera lo rendevano la personificazione stessa dei desideri di ogni singola donna del pianeta. E, cosa assai più preoccupante, suscitavano in lei un inopportuno e del tutto inusuale desiderio di farvi scorrere sopra le mani, almeno una volta…
Ma non era questa la cosa che più la colpiva, in quell’uomo. Quello che la fece restare letteralmente a bocca aperta, come la più idiota delle ragazzine, fu il modo in cui lui posizionava il corpo nello spazio. Come se avesse potuto plasmarlo a suo piacere, certo della sua totale e incondizionata obbedienza, o meglio, come se lo spazio – e l’intera realtà – gli appartenessero.
Nonostante non potesse vedere l’espressione dei suoi occhi, coperti da un paio di occhiali scuri, non ci voleva un’antropologa per capire che il semidio stava cominciando a chiedersi la ragione del protrarsi del suo silenzio e magari a porsi dei dubbi sulla sua sanità mentale. Anita si riscosse irritata dalla sua ebete contemplazione e con la mano sinistra – l’altra era ancora appiccicata alla guancia – indicò il tratto di panca libero accanto a sé.
«Certo, si accomodi» disse, volutamente noncurante. Non sapeva bene perché avesse risposto dandogli del lei e decise di non sprecare tempo a chiedersene la ragione, anche perché c’erano altre domande, molto più importanti, che occupavano la sua mente. Perché diavolo gli aveva detto di sedersi? E, soprattutto, perché lui gliel’aveva chiesto? Il locale era deserto, avrebbe potuto scegliere uno qualunque dei tavoli di legno, non aveva alcun senso che volesse stare proprio lì, accanto a lei. L’unica spiegazione logica, del tutto confacente alle variegate dinamiche che regolano i rapporti tra i sessi, era anche la sola che non poteva essere vera. Quel tizio non poteva volere lei, questo era fuori discussione.
Scrollò appena le spalle e il movimento le ricordò che avrebbe dovuto abbassare la mano con cui si stava ancora toccando la guancia, cosa che fece prontamente. Le risposte a quelle domande, in fondo, non erano così importanti. Avrebbe fatto quello che faceva sempre quando non riusciva a evitare a priori l’approccio di un maschio della specie: qualche chiacchiera educata, seguita da una fuga provvidenziale. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era rimanere invischiata in una surreale relazione con il David di Michelangelo.
La statua in questione, intanto, si stava muovendo e Anita non poté esimersi dal notare la piega ironica delle sue labbra, mentre, con movimenti lenti e sinuosi, scivolava accanto a lei. Di nuovo, non ebbe bisogno di vedere i suoi occhi per capire che l’uomo era perfettamente consapevole dell’effetto che le stava facendo e questo radicò ancora di più in lei la convinzione di dover trovare quanto prima una via di fuga.
«Ero seduto lì, sopra di te.» Così dicendo, lui fece un lieve movimento del capo verso l’alto, senza staccare dal suo viso quegli occhi che ancora rimanevano nascosti. «Ti stavo guardando. Avevi un’aria così seria e concentrata che non ho potuto fare a meno di chiedermi che cosa stessi scrivendo.»
Dio, quella voce. Era bassa e profonda e arrivava in fondo all’anima. E arrivata in fondo, cominciava a scavare, si disse Anita, mentre un brivido la scuoteva dalla sommità della testa fino alla punta dei piedi. Peccato che le parole che lui aveva appena pronunciato con quella voce divina fossero del tutto inaccettabili. Chi si credeva di essere quello lì? Pensava davvero che il suo fascino diabolico potesse aprirgli tutte le porte, come per magia? Poteva anche credersi il padrone dello spazio e del tempo, ma lei gli avrebbe mostrato che non tutte le femmine si limitavano a svenire davanti a lui, trasformandosi in creta malleabile nelle sue mani.
«In questo caso» gli disse con il sorriso sulle labbra, «avrebbe potuto evitarsi la fatica di scendere le scale, visto che tutto quello che posso dirle è che decisamente questi non sono affari suoi.»
Le morbide, splendide labbra dello sconosciuto si tesero davanti ai suoi occhi in una linea dura di istintiva rabbia, ma durò solo lo spazio di un battito di ciglia. Subito dopo tornarono impassibili per poi piegarsi leggermente in un sorriso divertito.
«Hai ragione, non lo sono» disse sottovoce. «Mi chiamo Patrick.»
Le tese la mano destra e Anita esitò prima di stringerla. Qualcosa le diceva che toccarlo era una pessima idea, ma non poteva rifiutarsi di stringergli la mano, a meno di non apparire estremamente maleducata. E poi aveva ammesso di aver sbagliato, poco prima. Be’, insomma, quasi. Riluttante, allungò la mano, la lasciò scivolare in quella di lui e subito se ne pentì. Una specie di scossa elettrica le attraversò le cinque dita, fino a concentrarsi nel palmo, procurandole una bruciante sensazione di calore. E dire che la mano di lui era insolitamente fresca, vista la temperatura esterna, e la sua stretta era forte e gentile insieme. Era come se avesse il potere di accarezzarla senza muoversi e Anita si sentì avvolgere da una strana debolezza, inquietante eppure non del tutto spiacevole. Fece un profondo respiro e ritirò la mano, mettendola al sicuro sotto il braccio opposto.
«Anita» rispose semplicemente, non fidandosi della sua voce.
 



L'autrice:
paolagianinetto Paola Gianinetto vive a Torino e lavora da molti anni come adattatrice dialoghista per la televisione. Quando da bambina le chiedevano “Che cosa vuoi fare da grande?”, rispondeva “La scrittrice”, ma per lei era come dire “l’astronauta” o “la rockstar”. Anche da grande. Poi, un giorno per caso, ci ha provato, e non ha più staccato gli occhi dal computer finché non ha finito il suo primo romanzo.
La prima persona a cui l’ha fatto leggere le ha detto: provochi in me quella famosa sensazione di “vorrei abitare in quella storia”, un mix di sogno e nostalgia, non saprei esattamente, sprigiona calore. Allora ha capito che, comunque andasse, ce l’aveva fatta.
Per Emma ha già pubblicato Kyler nella collana Shadow, primo libro della serie "Principi azzurro sangue".

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