Uscite Emma Books di Novembre.


Anche le mamme bevono caffè 
di Rosa Maria Latagliata e Katyna Mercenari

Tutte donne.
Tutte diverse.
E tutte uguali.
Anche le mamme bevono caffè è un romanzo sulle mamme, scritto da due mamme, ma non solo per le mamme, anzi…


Genere: Romanzo
Editore: Emma Books
Pagine: 153
Prezzo: € 4,99
Uscita: 7 Novembre 2013



Sinossi:
Roma, otto e trenta di un giorno qualunque. Un tavolino ricoperto di tazze e tazzine. Un gruppetto di donne che parla, ride, piange. Sono Emma e le altre, che ogni mattina, caschi il mondo, si ritrovano al bar a fare colazione dopo aver portato i bambini a scuola. Lì, tra una lacrima e un sorriso, prima di immergersi nelle loro occupazioni quotidiane, si raccontano le fatiche, i tradimenti, le fughe, gli amori, le loro vite non sempre perfette.


Estratto:
«Un caffè schiumato per favore.»
«Per me un cappuccino tiepido.»
«E un americano in tazza grande, tu che prendi?»
«Me lo macchia con il latte freddo?»
«Cosa c’è, Emma?» chiede Matilde vedendomi pensierosa.
«Niente, pensavo che la recita è stata bellissima. Sì, forse l’acustica lasciava a desiderare, ma non eravamo esattamente alla Scala di Milano…»
In realtà stavo pensando a Riccardo.
Caterina l’ha cercato a lungo con lo sguardo, emozionatissima nel suo vestito bianco da margheritina. Alcuni papà avevano portato addirittura dei fiori, e le sue compagne li esibivano orgogliose, come un trofeo.
Ma il suo papà non è neanche venuto…
Quando avevo detto a mio marito che ci sarebbe stata la recita di fine anno, aveva risposto che per quella data aveva già fissato un incontro importante.
«Bene, direi che questa emozione merita un caffè» sentenzia Sara dandomi un bacio sulla guancia.
Quest’affetto che si è creato fra noi è una cosa insolita ed è avvenuta gradualmente.
Un’unione spontanea che, col tempo, ha scandito i ritmi delle nostre giornate e, inevitabilmente, anche quelle dei nostri figli. O forse è stato il contrario.
All’inizio i rapporti erano regolati dalle scelte dei bambini. Dalle feste di compleanno ai pomeriggi passati a casa di qualcuno, dove noi mamme c’incontravamo.
Con il tempo, conoscendoci meglio, in queste riunioni casuali ognuna di noi ha visto nell’altra qualcosa di piacevole, di affine o interessante, e l’atmosfera si è sciolta facilmente.
Il passaggio dalla conoscenza alla confidenza è stato naturale. Prima solo il caffè della mattina, poi una telefonata, dopo un po’ un aperitivo o una cenetta.
Tutte donne.
Tutte diverse.
E tutte uguali.
Con la stessa voglia di vivere e di confrontarsi ma, soprattutto, di minimizzare.
Questo piccolo bar è presto diventato il nostro sfogo quotidiano, e in qualche strano modo anche la nostra libertà.
Sta tutto su questo bancone: entusiasmi e frustrazioni, delusioni, gioie e dispiaceri.
Per dirla con Antoine de Saint-Exupéry, anche noi ci siamo “addomesticate” a vicenda.





Più cuore 
di Francesca Di Raimondo






Genere: Romanzo
Editore: Emma Books
Pagine: 135
Prezzo: € 2,99
Uscita: 28 Novembre 2013


Sinossi:
Una mattina, appena arrivata al lavoro, Lucia riceve una telefonata. Andrea, il suo capo nonché ex amante e grande amore, le dice che il contratto di collaborazione con la casa editrice Edfi non le verrà rinnovato. E a partire da quel momento un passato archiviato troppo in fretta torna a galla, senza darle tregua. “Ero andata incontro alla vita con i segreti nel cuore e i sogni nella testa. Quel che mi restava era solo una sensazione, l’impressione d’aver vissuto a occhi chiusi” confessa Lucia, che deve imparare a fare i conti con se stessa, con la paura d’amare, con le certezze che, come un castello di sabbia, crollano e svaniscono. Ma il futuro riserva sempre delle sorprese, e il destino le offre un’altra chance. Per Lucia comincerà dunque una nuova vita, che lei affronterà a viso aperto, con più coraggio. E più cuore.



Estratto:
Tirava un vento gelido quel martedì mattina di fine febbraio.
Scesi dal tram, accelerai il passo ed entrai nel bar del viale.
Non ordinai il solito caffè, avevo bisogno di scaldarmi. Chiesi un cappuccino.
Il “Piccolo Bar” era come al solito affollato, non c’era posto al bancone, ma visto il tempo non avevo avuto nessuna voglia d’arrivare fino al bar della piazza. Presi la tazza e mi spostai verso il tavolo accostato alla parete finestra. Stava iniziando a piovere e io come al solito non avevo preso l’ombrello. Poco importava. Con il vento che tirava il piccolo arnese a buon mercato che avevo non avrebbe retto più di cinque secondi. Una voce alle mie spalle mi fece girare.
«Posso?» disse il tipo sui quaranta indicando il quotidiano.
«Certo, prego» risposi, porgendoglielo.
Rieccolo, più bello e affascinante che mai. Era un po’ che non lo vedevo, una settimana circa, chissà dove era stato. Doveva lavorare o abitare da quelle parti, c’incontravamo spesso, di solito al bar, la mattina. Peccato che a quell’ora nessuno dei due avesse abbastanza energia per attaccare bottone.
Finii il cappuccino in fretta. La pioggia stava infittendosi, non volevo arrivare completamente fradicia in ufficio e, soprattutto, volevo evitare di rovinarmi le scarpe.
Mi alzai per andare via, il tipo si girò verso di me, entrambi accennammo un sorriso. Era un approccio delicato, un corteggiamento lieve. L’adoravo perché non c’era alcun coinvolgimento, nessuna intrusione fastidiosa.
Mi diressi verso la cassa, pagai e appena fuori dal bar cominciai a correre verso l’ufficio.
Dal cancello, oltre la porta a vetri, vidi Rosa seduta alla scrivania. Suonai energicamente.
«Buongiorno, Lucia. Visto che tempo?»
«Ciao Rosa, eccome! Ero al bar quando ha iniziato a piovere e per fortuna mi sono mossa in tempo, guarda che roba, adesso viene giù di brutto. Verrà anche quest’anno la primavera, no?»
«Sarebbe ora!»
«Vado di là, a dopo.»
«Okay, darling» rispose continuando a guardare lo schermo del suo computer.
Appesi il giaccone a due ganci dell’appendiabito sperando che steso in quel modo si asciugasse abbastanza in fretta. Poi mi tolsi le scarpe e controllai che non ci fossero danni.
Imprecai. Non riuscivo a spiegarmi come diavolo mi fosse venuto in mente di mettermele quella mattina nonostante avessi visto il cielo carico di nuvoloni neri. Mi sarebbe dispiaciuto molto se si fossero rovinate, era stato il mio super affare dei saldi di febbraio. Presi il rotolone di carta assorbente, ne strappai due pezzi e le asciugai per bene. Pensai che avrebbe potuto andare peggio e non solo alle scarpe, anche a me. Avevo seriamente rischiato di cadere a gambe all’aria in quella corsa folle verso l’ufficio.
Doveva essere la mia giornata fortunata.
Accesi il computer e diedi subito un’occhiata alla posta.
Stavo leggendo l’email di Marco e non ero ancora arrivata alla fine che suonò il telefono.
«Ti passo Andrea» fece Rosa senza neanche aspettare una risposta.
«Buongiorno, Andrea. Come va?»
Silenzio.
«Pronto, Andrea, mi senti?»
Sentii prima un colpetto di tosse poi un respiro, infine la sua voce.
«Ciao Lucia, ti ho chiamato per dirti che non ce la faccio a venire domani, così come avevamo stabilito la settimana scorsa. Arrivo giovedì.»
«Come mai?» ero stata sul punto di dire, ma dalla mia bocca non era uscita una sola parola. Restai in silenzio. Non mi piaceva per nulla il tono della sua voce. Ancora un altro colpo di tosse, poi l’annuncio.
«Mi dispiace dirtelo così al telefono, ma preferisco che tu lo sappia subito. Non ho buone notizie da darti. L’Edfi ha deciso di non rinnovarti la collaborazione. Credimi, ho fatto il possibile per evitarlo ma non hanno voluto sentire ragioni.»
Alle prime dieci parole sentii un pugno arrivarmi dritto allo stomaco. Poi mi ritrovai attaccata a una minuzia. Aveva usato il plurale. Non capivo perché, dato che solo una persona poteva aver preso una decisione del genere: quel deficiente di Aldo Borghi, l’amministratore delegato dell’Edfi.
Restammo entrambi per qualche minuto in silenzio. Fu lui il primo a parlare.
«Lucia, ci sei?»
«Sì, Andrea, ci sono» risposi con un filo di voce, mentre sprofondavo sempre più nella sedia. Non avevo messo in conto che la mia collaborazione con l’Edfi fosse a rischio, il rinnovo mi pareva una pura formalità. Visto com’erano andate le cose, non lo era.
«Per te va bene giovedì?»
«Va bene.»
«Perfetto» disse lui.
«Andrea, puoi dirmi perché non mi viene rinnovato il contratto?»
«Vorrei evitare di parlarne Lucia, per lo meno non vorrei parlartene oggi al telefono. Il discorso diventa complicato.»
Quel suo modo di fare mi diede sui nervi.
«Che vuol dire “il discorso diventa complicato”? Mi hai appena dato la notizia che non mi viene rinnovato il contratto e cosa pensavi che ti dicessi, “okay, ne parliamo quando ci vediamo”, ti sembra possibile? Sarebbe stato meglio se non mi avessi detto nulla allora, ma a questo punto non puoi fare finta di niente.»
«Ti pare stia facendo finta di niente, Lucia?»
«Sì e non capisco perché.»
«Ti sbagli, non è perché voglio far finta di niente che non voglio parlarne adesso, semmai il contrario, vorrei che ne parlassimo con calma.»
«Io non ho fretta, ho tutto il tempo che vuoi, a meno che tu non voglia parlarne perché non ti va. Se preferisci che io chieda a Borghi, che domandi a lui perché ha deciso di farmi fuori, dimmelo.»
«Lucia, per favore, non dire cavolate.»
«Non mi sembra di dire cavolate. Piuttosto vorrei anche sapere chi avete deciso di mettere al mio posto.»
La mia voce era ferma, il tono era diventato più basso e avevo pure iniziato a scandire le parole. Non accettavo scuse, volevo una spiegazione. Andrea mi conosceva bene e aveva capito che sarei andata fino in fondo.
«Stai cercando di mettermi in difficoltà, Lucia?»
«Assolutamente.»
«Non credere che non capisca quello che stai provando.»
«No, non lo sai» lo interruppi.
«D’accordo non lo so ma lo posso capire, come tu puoi capire quanto sia stato difficile per me chiamarti e dirti che la tua collaborazione termina qui. Pensala pure come ti pare ma devi credermi, ci tenevo a dirtelo io, non volevo che lo venissi a sapere tramite una lettera. Semmai te ne fossi dimenticata, Lucia, sono io quello che ti ha proposto di venire a lavorare all’Edfi. Chi ci sarà o non ci sarà al tuo posto è un’altra storia.»
Aveva ragione, ma non avevo alcuna intenzione di mollare.

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