Amore fra le righe: "GRISELDA" di Alexia Bianchini.




"AMORE FRA LE RIGHE", rassegna letteraria che ha coinvolto le più grandi firme del romance italiano, ospita un nuovo racconto! 

Immergetevi nella suggestiva atmosfera norrena di "Griselda", racconto inedito della scrittrice e editor Alexia Bianchini!







 
Griselda incedeva nella neve. Chiazze rosso sangue seguivano le impronte. Il dolore alle membra soccombeva all’istinto di sopravvivenza che si faceva strada dentro di lei.
Era stata picchiata a sangue, poi legata in una capanna per essere usata dai bifolchi a cui era stata venduta. La fuga l’aveva tratta in salvo, il gelo della neve l’aveva accolta e la stava accompagnando lungo il cammino.
Essere la figlia di Boris era stata la sua condanna. Il grande guerriero vichingo si era rifiutato di cedere il figlio giovane, fratello di Griselda, per l’ennesima scorribanda ai danni degli anglosassoni che cercavano di convertire gli ultimi villaggi al cristianesimo.
Suo padre, che si narrava fosse figlio di una valchiria, era rimasto ferito in battaglia, e non avrebbe potuto muoversi fino al nuovo anno. La legge voleva che il figlio maschio ne prendesse il posto, ma Stelin, il disegnatore di Drakkar, unico erede, era debole, schivo e, sebbene altri uomini si sarebbero vergognati, lui lo difendeva dal resto del mondo, ignorando il fatto che fosse additato come strano.
All’inizio nessuno aveva osato offendere la famiglia del grande guerriero, ma poi Boris era andato oltre, si era negato al capo villaggio, innescando un meccanismo subdolo ai danni della sua stessa famiglia. Non era riuscito a difendere la sua casa. La moglie era stata uccisa, Stelin picchiato selvaggiamente e Griselda venduta. Nessun onore, nessuna tumulazione a raccogliere le salme in viaggio verso il Valhalla.
La paura che Griselda aveva provato all’inizio, quando era stata strappata dalle braccia della madre, non era nemmeno paragonabile al desiderio di morire che ne era seguito. Mai aveva visto tanta spietatezza. La sua stessa gente l’aveva derisa, la miseria e le invasioni avevano ottenebrato le menti. Nemmeno le amiche con cui era cresciuta avevano provato a salvarla, si erano celate dietro gli uomini armati di lance.
Correndo tra centinaia di alberi, nell’immensa terra di Danelaw[1], ignorò il buio che la circuiva, scacciò la paura. Era ormai tale la paura dei suoi stessi simili che i mostri di cui narravano le leggende non erano nulla al confronto.
Proseguì senza sosta. Sentì una cornacchia al di sopra della sua testa. Il vociare insistente le trapanò le orecchie, ma nella bruma che stava con prepotenza invadendo la landa fu l’unico richiamo per non finire verso la costa. Non le parve vero di ritrovarsi davanti a una grotta. L’esasperazione ebbe la meglio sul buon senso. Vi si infilò alla ricerca di un riparo, contro ogni regola imparata dal padre in anni di caccia. Morire per il gelo, o divorata da una bestia, avevano la stessa conclusione, ma il desiderio di fermarsi, e di riposare le membra, era stato più forte della ragione.
Doveva superare la notte.
Terra e humus la ricoprirono e, tra il dolore, la paura, la rabbia e la mente che ripercorreva di continuo le facce dei suoi aguzzini, trovò il sonno.
Si svegliò di soprassalto. Grida di uomini si susseguivano, alternati a pianti di bimbi. In quei giorni funesti imperavano scorribande e battaglie. La paura aveva reso gli uomini stolti e maledetti. Il nuovo credo religioso dilagava e i fiumi erano rossi di sangue.
Ignorò il dolore delle ferite, e uscì dal riparo con fare sospettoso. Era conscia che se fosse rimasta nascosta sarebbe morta da sola e nel freddo, ma sapeva che la stavano ancora cercando. Aveva sgozzato un ragazzo per poter sfuggire alla violenza, e non aveva perso l’occasione per scappare. Era necessario trovare un villaggio o una carovana. Non poteva tornare a casa. La sua gente l’aveva venduta, per lei erano morti e sepolti. Era pronta a morire, pur di non finire prigioniera.
Come una lupa ferita ignorò il dolore e si mise a correre nel senso opposto del vociare. La testa bassa, il corpo teso come una corda. Una fitta al fianco la fece rallentare, poi sopraggiunsero i morsi della fame. Non ricordava nemmeno quand’era l’ultima volta che aveva mangiato.
Prese fiato e guardò sopra di lei. I rami contorti degli alberi sembravano allungarsi per ghermirla. Si fece forza e riprese a camminare. Sorpassò una duna e senza rendersene conto si ritrovò nel bel mezzo di una battaglia all’ultimo sangue.
Le si bloccò il respiro, occhi sgranati. Un corpo esanime le finì ai piedi, il petto squarciato da una lama. Paralizzata dalla paura sollevò lo sguardo e scrutò la massa di uomini di fronte a lei. Il clangore della spada risuonava nella landa. Un solo guerriero sovrastava i nemici, la lunga chioma dorata scendeva su spalle possenti. Non aveva mai visto muscoli così vigorosi, sembrava un dio sceso in terra per punire gli stolti.
Gli avversari del combattente caddero a terra come mosche, ma uno si accorse di lei e le andò in contro, la spada sguainata, il viso sporco di sangue, la bocca spalancata come se volesse mangiarla. Griselda non riuscì a muovere un passo. Quando le fu quasi addosso vide il volto del suo aggressore deformarsi, una spada l’aveva trafitto da parte a parte.
Restarono solo loro due. Occhi verdi la scrutarono, il tempo parve fermarsi.
Il biondo allungò una mano, calde dita le accarezzarono le guance, poi scesero sulle labbra volitive. Le sorrise e le disse qualcosa in una lingua sconosciuta. Il vociare di altri guerrieri in arrivo spezzò quel momento e l’armigero si fece avanti, prendendola in braccio. Griselda non oppose resistenza, si abbandonò e si lasciò trasportare lontano, sperando che ciò che aveva letto in quello sguardo fossero compassione e sensibilità.
Si risvegliò immersa nel tepore di alcune pellicce. La testa pesante. Ancora sentiva nelle orecchie le sue stesse urla, quando la sera precedente lo straniero, dopo averle dato della carne secca da masticare, le aveva medicato le ferite con una strana poltiglia.
A pochi passi da lei un piccolo lago di acqua calda emanava vapore. L’uomo si stava lavando dalla terra e dal sangue del nemico. Si mise seduta, tirandosi le coltri per il freddo. Lui si voltò di scatto, il fisico di marmo e la sua virilità in bella mostra. Griselda si sentì avvampare, ma lui con fare disinvolto le fece segno di avvicinarsi.
Da dove veniva quell’uomo? Dall’accento non era un normanno. Di sicuro arrivava dal sud, ma non sembrava nemmeno un romano. La pelle abbronzata non era tipica dei vichinghi, sebbene il colore dei capelli fosse chiaro per un uomo del sud. Forse era un mercenario, o uno schiavo che si era preso la libertà con la forza.
Griselda si alzò da quel giaciglio di fortuna. Si tolse le foglie che coprivano i graffi, mentre lo sconosciuto non smetteva di fissarla, e si liberò dagli stracci che indossava come vestiti. Il gelo la circuì, ma l’ardore che sentiva crescerle dentro la riscaldò. A piccoli passi si avvicinò, abbandonando le membra nell’acqua calda.
A un palmo dallo sconosciuto lui le sorrise e allargò le braccia. Rimase un istante in contemplazione di quel volto. In quegli occhi verdi non trovò traccia di cattiveria. Avrebbe potuto ucciderla, o approfittarsi di lei, invece l’aveva curata. Si abbandonò sul suo petto vigoroso e si lasciò accarezzare.
«Ares» le sussurrò in un orecchio, e lei comprese che quello fosse il suo nome.
Griselda si sentì protetta, come se nel mondo non ci fossero più battaglie. La lavò dalla sporcizia, dal dolore, dal passato. Mani forti e sicure la sfiorarono delicate.
Quando prese a baciarla lo lasciò fare. Mai si era sentita più amata e desiderata. Il tempo parve cristallizzarsi, le loro bocche avide si cercarono, i loro cuori presero a battere a un ritmo serrato. La schiena le si inarcò, perse i sensi per un breve attimo. Il corpo scosso da brividi intensi.
Quella sera, vicino al caldo tepore del fuoco, si prese ancora cura di lei.
Griselda non smise di fissarlo mentre lui affilava la lama della sua spada a due mani.
Quella stessa notte il suo uomo uccise altri due guerrieri.
Griselda non sapeva chi fosse, né perché era giunto in quelle terre, ma era certa di una cosa: si sarebbe fatta aiutare per salvare suo fratello e poi non si sarebbe mai allontanata da lui, a costo di uccidere la sua stessa gente.



[1] Tra la fine del IX secolo e l'inizio dell'XI i Vichinghi danesi occuparono circa metà  dell'Inghilterra, in quella zona che, da loro, prese il nome di "Danelaw"




 


ALEXIA BIANCHINI
Autrice di romanzi e racconti di genere horror, sci-fi e fantasy. Con CIESSE edizioni ha pubblicato MINON, Io vedo dentro Te e ha curato l’antologia D-Doomsday. Ha pubblicato racconti con EDS, Del Miglio editore, Edizioni Scudo, GDS. Con La Mela avvelenata ha pubblicato: Il Mondo dei Soffi Ardenti, L'Ordine delle sette spade, Reanimator, A.Z.A.B., Eventi Bizzarri. Ha curato l’antologia R.E.M. e 50 sfumature di sci-fi. È stata direttore editoriale di Fantasy Planet, curatore per Lite Edition e Ciesse Edizioni.
 



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15 commenti:

  1. Bello davvero,complimenti Alexia!!! Strano,non amo particolarmente i racconti,perchè non faccio in tempo ad amare i personaggi che già finisce la storia,eppure alcuni di questi mi prendono subito dalle prime righe ,come il tuo. Periodo storico molto apprezzato da me,ma purtroppo sono ingorda,voglio di più!!! Complimenti ancora!!!

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  2. questo è un racconto molto affascinate....sarà per i vichinghi e immagino tutti come il bellissimo Travis Fimmel, sarà perché odoro gli uomini selvaggi e feroci, le donne orgogliose e fiere...ma a me il Vikings-style fa impazzire!
    Un racconto romantico che si tinge di vendetta!
    Mi piace!

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  3. Posso avere un seguito ??? Grazie XD

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  4. Bellissimo racconto..mi e piaciuto molto e adoro l'ambientazione..davvero brava! :-)

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  5. Bello, peccato che è già finito!! Ma un seguito?? Voglio conoscere meglio Ares ;)

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  6. Mi piace questo mondo duro e crudo, selvaggio e inospitale, eppure affascinante. Mette in contatto con la parte primitiva di tutti noi. Brava!

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  7. Brava Alexia, bellissimo racconto

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  8. Un racconto molto particolare, ricco di dolore e ferocia. Credo sia proprio questo che fa apprezzare ancora di più l'incontro tra i due protagonisti. Una luce di speranza in un mare di oscurità.
    Tifo anche io per Ares! ^_^
    Brava Alexia!

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  9. BELLO BELLO BELLISSIMOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!!!
    Possiamo sperare in un seguito???
    Please ^^

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  10. aaah beh io son di parte... i vichinghi e gli uomini selvaggi hanno sempre attirato la mia attenzione in modo particolare =)
    molto molto bello...complimenti Alexia

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  11. no, scusate, ma la Alexia ci molla così????
    prima mi fa infatuare del mega fusto e dopo non prosegue?
    mi sa che prendo io una spada e vado a trovare la signora mela avvelenata.
    qui i libri li finiamo, non siamo abituate ad essere sedotte ed abbandonate e, cara Alexia, è proprio così che mi sento

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  12. Prometto di farne un romanzo. Mi sono innamorata scrivendo <3
    Alexia

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    1. Sono molto soddisfatta di aver disturbato Alexia se questi sono i risultati :)

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  13. Davvro un bel racconto, molto intenso e preciso, dettagliato!

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  14. mi unisco al coro di chi mi ha preceduta. racconto molto bello ed appassionante. certo il seguito è quasi doveroso, visto che ci hai lasciate un pò così --> O.O
    complimenti!
    caio

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