L'ALCHIMIA DEGLI OPPOSTI di Federica Soprani e Lucia Guglielminetti.



Questo bizzarro racconto nasce all'improvviso, quando Federica Soprani, autrice di "Corella, l'ombra dei Borgia", dei "Victorian Solstice" (assieme a Vittoria Corella) e di altri piacevolissimi lavori, propone una collaborazione a Lucia Guglielminetti. Una one shot in cui far incontrare il suo vampiro, Guillaime De Joie, raffinato, bellissimo e molto antico, con il sadico olandese Raistan Van Hoeck . L'alchimia tra due tipi così diversi - opposti, appunto - è risultata esplosiva. 

 

 


Insaziabili Letture ospita il primo capitolo di questa bellissima storia. Per saperne di più seguite queste due autrici sul blog dedicato al magnifico Raistan!




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“Dai bello, siamo arrivati.”
Mark Norren spinse il cavalletto a terra con un colpo poderoso e fermò il motore. L’Harley si acquietò con un cupo brontolio ma le braccia dello straniero non si decidevano a mollarlo.
Se lo scrollò un po’ di dosso e quello parve riemergere da un sogno tutto suo.
“Siamo a casa tua?” domandò in un sospiro, lasciando scivolare le mani lungo la sua schiena e guardandosi intorno. Mark scese dalla moto e si voltò verso di lui. La corsa notturna per le strade trafficate di Londra non sembrava averlo impressionato più di tanto. Niente di strano, sbronzo com’era. Di certo non aveva scalfito il suo bell’aspetto. Solo i capelli biondi che incorniciavano il volto inanellandosi appena sul collo apparivano un po' più scarmigliati di quando lo aveva incontrato, circa un’ora prima.
“Eh, quanta fretta! Prima ci beviamo qualcosa, che dici?” lo canzonò bonariamente, aiutandolo a scendere dalla moto. Attraverso il tessuto pregiato della giacca sportiva poteva quasi percepire la consistenza delle sue spalle, delle sue braccia. Non che fosse mingherlino, ma trasmetteva una sensazione di fragilità, di delicatezza. Quando lo lasciò andare il tizio barcollò visibilmente, portandosi una mano alla fronte.
Mark rise roco, mentre lo agguantava di nuovo.
“Mi piace il tuo giubbotto” biascicò l’altro, sfiorando con le dita la manica di pelle.
“Lo hai già detto, bello. Se fai il bravo dopo te lo faccio provare” promise Mark, cercando di indirizzarlo verso l’ingresso del locale. Ma lo straniero opponeva resistenza. Pessima idea.
“Non ti metterai a fare lo stronzo adesso, vero?” domandò brusco Mark, stringendolo più forte. Poteva vedere il suo profilo stagliato contro le luci rutilanti di Leicester Square, mentre il capo gli si piegava in avanti sul collo divenuto improvvisamente troppo debole per reggerlo. Si costrinse alla calma. Dopotutto non avrebbe avuto senso buttare all’aria quell’inaspettato colpo di fortuna. Quando lui e i ragazzi avevano visto quel bellimbusto arrancare lungo Camden High Street in un orario in cui tutti i fottuti turisti avevano ritenuto saggio tornarsene ai loro alberghi, aveva subito capito che sarebbe stata la sua serata fortunata. Una rapida occhiata ai suoi abiti era stata sufficiente per annusare quanta grana potesse avere in tasca. Mark, però, non era tipo da fregarti il portafogli e tanti saluti. Lo straniero si era diretto verso di loro non appena li aveva scorti e aveva puntato su di lui, come se fosse andato lì apposta. Ovviamente non era vero, ma a Mark non era dispiaciuto che un tipo del genere avesse scelto lui tra gli altri, anche solo per farsi fregare. Sembrava balzato fuori da una dannata rivista di moda, non solo perché niente di ciò che indossava aveva l’aria di costare meno di mille sterline. No, erano il suo aspetto e il suo portamento, che nemmeno l’ubriachezza evidente riusciva a vanificare del tutto. La sua faccia sembrava ritoccata al computer, troppo regolari i lineamenti, troppo fini, non fosse stato per quella bocca esageratamente carnosa, che si schiudeva a rivelare i denti candidi mentre gli rivolgeva un sorriso sbilenco.
“Hai un giubbotto bellissimo” gli aveva detto, con un vago accento francese.
“Anche tu hai una bella giacca, bello. Vuoi che andiamo da qualche parte a scambiarci i vestiti?” gli aveva risposto Mark, tra le risate degli amici, che già lanciavano occhiate prudenti lungo la strada, per accertarsi che non ci fossero bobbies in giro. Ma quello, anziché incazzarsi, aveva riso a sua volta, strizzando gli occhi blu, e aveva risposto sì, magari perché no?
Detto fatto.
Mark se l’era portato via. Una preda come quella non andava divisa e poco male se i ragazzi se la sarebbero presa. No, il biondo lo aveva scelto, e lui avrebbe fatto tutto quanto fosse stato necessario per concludere in bellezza quella promettente serata.
“Non vuoi che ci divertiamo insieme?” gli sussurrò, più dolcemente, passandogli la mano intorno alla nuca. Quello reclinò il capo all’indietro, socchiudendo gli occhi e cercando quel contatto come un gatto che volesse carezze. Che fosse un frocio di merda Mark lo aveva già capito, ma francamente due colpi a un tipo simile non avrebbe avuto problemi a darli, prima di pestarlo a dovere e lasciarlo in mutande in un vicolo.
“Ok, ti porto dove possiamo stare tranquilli” riprese, incoraggiante, deviando dell’ingresso del locale e incamminandosi lungo il Long Acre. Nessuno faceva caso a loro. Due ubriachi che procedevano allacciati sul marciapiede erano meno rari di fili d’erba in un prato. Certo, il fatto che uno fosse vestito da motociclista e avesse l’aria di chi non dorme in un letto da giorni e l’altro sembrasse uscito da Vogue-Uomo avrebbe potuto saltare all’occhio. Ma non a Londra, evidentemente.
Mark imboccò all'improvviso uno stretto vicolo il cui accesso risultava quasi invisibile dalla strada. Londra era zeppa di posti simili. Secoli passati a curare solo la facciata delle case avevano fatto sì che dietro di esse si sviluppasse un dedalo di viottoli ciechi e cortili di servizio, in cui la servitù poteva muoversi indisturbata senza infastidire troppo i signori con la propria vista degradante. A Mark, che di quei secoli non sapeva nulla, rimaneva il retaggio di quei budelli oscuri, come buchi scavati dalle tarme in un bel mobile pregiato. Utili se dovevi fare qualcosa che gli altri non dovevano vedere. Perfino i rumori della strada sembravano più lontani, attutiti dai muri di mattoni anneriti e freddi. Contro uno di quei muri depositò lo straniero.
“Qui ti piace?” si informò, appoggiandosi alla parete di fianco a lui e afferrandogli il mento con la mano. Quello si abbandonò contro il muro con un sospiro, segno evidente che non aspettava altro che quell’intimità. Mark gli fece scivolare la mano dal volto al cavallo dei pantaloni, stringendogli il membro attraverso il tessuto. Non era un finocchio, non aveva intenzione di sprecare tempo in preliminari inutili, anche se un pompino da quelle labbra carnose non gli sarebbe dispiaciuto. Lo afferrò e lo girò, faccia al muro, armeggiando con i suoi pantaloni, schiacciandolo col proprio peso. Lo straniero era docile nelle sue mani, accondiscendente. Quando Mark affondò il volto nell’incavo del suo collo si inarcò contro di lui, cercandolo con voluttà.
Considerata sufficiente quella pantomima, Mark si slacciò i pantaloni e fece per abbassare quelli dell’altro. Ma la mano dello straniero lo fermò. Una presa salda, inaspettatamente forte per dita affusolate come quelle.
“Che ti prende adesso?” grugnì, tornando a strusciargli la bocca contro il collo e riprovando a calargli i pantaloni. La presa si fece più forte, al punto che Mark avvertì un inaspettato dolore. Reagì con rabbia, afferrandolo per la nuca e bloccandolo, allargandogli le gambe con brutalità. Poi si sentì scaraventare contro la parete opposta e il mondo gli esplose intorno, quando la testa cozzò violentemente contro i mattoni. Fu solo un attimo e subito reagì, scagliandosi contro l’uomo che ora lo fronteggiava sorridendo nella penombra. Cercò di cancellare quel sorriso con un pugno ma quello fu veloce, troppo veloce a scostarsi, e di nuovo il polso di Mark fu stretto in una morsa di ferro. Questa volta l’osso si spezzò come un ramo secco strappandogli un grido subito soffocato dall’altra mano dello straniero che gli afferrava il collo, inchiodandolo contro la parete scabrosa. Non smise di scalciare e divincolarsi nemmeno quando l’oscurità calò come un sipario davanti ai suoi occhi. Vagamente percepì la presa sulla sua gola sciogliersi, mentre lo straniero gli si faceva più vicino, piegandogli la testa di lato.
 
“Che bel giubbotto, Mister. Vuole lasciarlo a me?”
L’addetta al guardaroba dello Steel flamingo gratificò il nuovo cliente con un’occhiata di evidente apprezzamento. Tipi così saltavano all’occhio. Era quasi sicura di aver già visto in giro quel viso mozzafiato, quei capelli biondi. Magari era un attore, accidenti a lei e alla sua poca memoria. Il giubbotto di pelle indossato sulla camicia di seta gli conferiva un aspetto trasandato e sexy.
“No, cherie, ci mancherebbe!” le rispose lui, rivolgendole un sorriso da cherubino. E aggiunse strizzandole l’occhio: “L’ho appena preso, lasciamelo sfoggiare un po’.”
Così dicendo si inoltrò nel locale gremito. 


La storia continua su:

http://raistanvanhoeck.jimdo.com/read-rvh/esperimenti/l-alchimia-degli-opposti/ 




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1 commento:

  1. Splendido Angela!! Grazie per la segnalazione e per l'opportunità :)

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