Anteprima: "IL DESIDERIO DEL GENIO" di Susan Laine.




IL DESIDERIO DEL GENIO è il seguito di 
LA VIA DEI LUPI. 
Serie Sollevando il Velo. Libro 2





Traduttore: Eledh Armata
Cover Artist: Shobana Appavu
Genere: M/M
Editore: Dreamspinner Press
Pagine: 182
Uscita: 26 Agosto 2014



Sinossi:
Dieci anni fa, la Grande Rivelazione manifestò la presenza di esseri sovrannaturali che vivono sulla Terra. I residenti della città in rovina scoperta a Majlis al-Jinn sono però scomparsi da molto tempo; o così pensa il giovane archeologo Pip Butler, almeno fino a quando non libera accidentalmente un genio molto nudo chiamato Jinn.

Anche se da tempo ha una timida cotta per il suo carismatico supervisore, Val Velde, Pip fa fatica a rifiutare le continue e provocanti attenzioni di Jinn. Ha a malapena il tempo di considerare che ha un potentissimo genio e tre gloriosi desideri a portata di mano, quando spietati mercenari fanno irruzione nello scavo per appropriarsi del reperto più prezioso: la lampada di Jinn.

Così Pip, Val e Jinn devono lavorare insieme in una corsa contro il tempo per scoprire i segreti dell’antica città, liberare i loro colleghi tenuti prigionieri e tenere Jinn fuori dalle grinfie dei mercenari, il tutto mentre cercano di risolvere il loro groviglio amoroso.




La serie "Sollevando il velo" è così composta:
1 - La via dei lupi

2 - IL DESIDERIO DEL GENIO
3 - Hunter's Moon
3,5 - - Monsters Under the Bed (novella)
4 - Love of the Wild



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ESTRATTO:

Capitolo Uno





“STROFINA, PIP, e vedi un po’ cosa ne esce,” gli disse Valdemar, ridendo e facendogli maliziosamente l’occhiolino.

Se solo fosse un doppio senso sessuale, pensò Philip mestamente, ma non lo era, purtroppo.

Sbattendo l’antica lampada, striata di blu elettrico e oro, contro lo stomaco di Philip, Valdemar rise divertito e trotterellò via come uno stallone arabo. Val Velde poteva non essere arabo, ma era di sicuro uno stallone con il suo stupendo fisico da vichingo biondo, i suoi occhi azzurro cielo che avrebbero fatto sciogliere il sole in una pozza e quel sorriso provocante di denti bianco perla, simile a quello di una pianta carnivora esotica, pronta a ingoiare il pranzo in un sol boccone.

Philip aveva sperato per quasi un anno che Valdemar facesse proprio quello con lui, ma non era successo.

Sospirando scoraggiato, Philip riportò la propria attenzione sulla lampada antica che avevano ritrovato quel giorno stesso nel sito archeologico di Majlis al-Jinn, la nona grotta più grande al mondo, una di quelle che, dopo la Grande Rivelazione, si era svelata come il sito di una delle città più antiche di origini sconosciute. La caverna a cupola, fatta di rocce di carbonato fossile, consisteva in una singola enorme camera di 310 metri per 225; le aree calpestabili erano diventate il quadruplo dopo la scoperta della città. Prima della Rivelazione il luogo fungeva da punto d’incontro per speleologi, base jumpers e scalatori. Vi erano tre punti di accesso verticale lungo il soffitto indipendente della caverna, ma solo uno veniva usato.

C’era una singola via d’entrata alle rovine della città, dal punto più basso della caverna, dove due piloni portanti e un arco sopra un passaggio si aprivano in una scalinata gigante che portava verso il basso, verso la città vera e propria. L’illuminazione della città era affidata a lucernari e al loro riflesso sui sedimenti di roccia colorata, oltre che a coppe di bronzo piene d’olio che venivano accese fin dal passato, durante il periodo d’oro della regale città. Alcuni residui dell’olio dal profumo dolciastro erano stati ritrovati in quei contenitori.

Gran parte della città era stata invasa da alluvioni e frane, ma la città soprattutto, con le sue piazze, i colonnati e le altre strutture piccole e grandi, era rimasta intatta nonostante il tempo trascorso. La datazione al carbonio eseguita sugli artefatti trovati sul luogo li datava tra i dodici e i quindici mila anni prima, sorpassando di gran lunga anche la cultura egizia. L’aria arida del deserto aveva mantenuto le strutture protette dagli elementi e nella caverna la temperatura era sempre intorno ai diciassette, diciotto gradi.

La caverna e la città interrata erano state chiuse ai turisti per anni ed erano state classificate come proprietà dell’UNESCO per il Patrimonio Culturale del Mondo Nascosto. Naturalmente, quando il Velo si era sollevato rivelando a tutto il mondo la città perfettamente conservata e virtualmente intatta in quella regione desolata e inabitata del Sultanato di Oman, archeologi, antropologi, mitologi e scienziati di varie discipline oltre che a dilettanti studiosi, curiosi e semplici turisti, avevano affollato il sito.

Dieci anni dopo, l’attrattiva del sito era diminuita considerevolmente: il resto del mondo offriva luoghi molto più eccitanti, e inabitati, da studiare per entrare nella mitologia del mondo Nascosto. Tuttavia c’era una spedizione alloggiata nel sito e Philip Butler era uno dei membri di quel team internazionale di scienziati.

Philip, o Pip, come veniva chiamato nonostante non lo gradisse, era un archeologo la cui carriera era stata influenzata, sfortunatamente, più da Indiana Jones che da Kathleen Kenyon o Sir Arthur Evans. La realtà era tremendamente differente dalle interpretazioni di quei film gloriosi, ma imparando di più sull’archeologia, la mitologia e le culture, Philip si era trovato ad amare lo scavare nella terra alla ricerca di pezzi di porcellana in un’antica discarica, o ritrovare delle ossa da un antico sepolcro, o scoprire delle prove di civiltà.

Da lì a tre giorni la loro spedizione avrebbe compiuto un anno trascorso a Majlis al-Jinn e, non era una coincidenza, era arrivata l’ora per il rinnovo dei loro fondi (oppure per la chiusura della spedizione). Quell’antica città senza nome del vecchio Mondo Nascosto era stata un’oasi per occhi stanchi nei suoi giorni di gloria, ma ora giaceva in rovina, e anche se nei primi due anni dopo la Grande Rivelazione vi erano stati ritrovamenti uno dietro l’altro, giorno dopo giorno, nell’ultimo periodo avevano dovuto scavare in giro per trovare qualcosa di interessante che avrebbe continuato a fare entrare i soldi della ricerca.

Laureato a Harvard negli Stati Uniti e a Oxford in Inghilterra e ora impiegato per l’Harvard Semitic Museum, Philip Butler stava portando avanti la sua carriera professionale in modo molto positivo. A volte, però, sentiva che c’era qualcosa che mancava nella sua vita.

E Valdemar Velde, un accademico di successo e autore norvegese, passato per la Gran Bretagna, un laureato di Oxford con tre dottorati, dava al cuore di Philip le palpitazioni al punto da provocare un arresto cardiaco imminente. Philip non poteva negare quell’istintiva e intensa attrazione per quel Dio vichingo, ma deludendolo profondamente, Valdemar non mostrava alcun interesse per lui, nonostante continuasse sempre a trattarlo con gentilezza. Come un amico.

Ma Philip voleva spogliarsi con il suo amico. Magari avrebbe potuto convincerlo ad accettare una speciale amicizia con degli extra?

Sfogliando le possibilità nella sua vivida immaginazione come in un cliché pornografico, lo sguardo di Philip cadde sulla stupenda e antica lampada a olio di bronzo, dipinta di un blu elettrico con delle striature dorate. Anche senza ispezionare l’oggetto da vicino, Philip riusciva a capire che era molto più recente rispetto alle rovine della città in cui era stata trovata. L’età della città era stata stimata intorno ai quindici, sedici mila anni.

Tirando fuori un fazzoletto pulito dalla tasca dei calzoni cachi che indossava, Philip scrostò via attentamente la maggior parte dei pezzi di terra e fango che erano attaccati alla superficie incisa della lampada, e vi passò poi le dita delicatamente, cedendo al desiderio di stringere tra le sue mani un pezzo concreto di storia (e di storia mitologica).

Un soffio d’aria lo fece cadere a terra all’indietro così velocemente, così lontano e così forte che la massa dei suoi capelli biondi gli ricadde sugli occhi nocciola. Atterrando sul terreno sabbioso e ricadendo sul proprio sedere con un colpo secco, i polmoni di Philip si svuotarono dell’aria che contenevano; dovette inspirare un paio di volte per recuperare il fiato perso, poi riuscì finalmente a riprendersi e sollevarsi sui gomiti.

Un lampo improvviso lo abbagliò e dovette coprirsi gli occhi dall’accecante fascio di luce che pulsava e ruggiva come un fuoco in una foresta.

Con i sensi sovraccaricati, Philip voleva coprirsi gli occhi e le orecchie, ma con sole due mani fallì miseramente, e il crescente dolore dietro alle palpebre, nei timpani e nel petto aumentò, come la pressione in una pentola chiusa.

Fino a quando…

Un silenzio ombroso si stese rassicurante su di lui e il sollievo lo avvolse. Lasciandosi cadere sulla schiena sul terreno coperto di sabbia, Philip lottò per riguadagnare la propria calma e la propria compostezza ora che i suoi sensi avevano raggiunto di nuovo la serenità.

Sedendosi lentamente, Philip si scostò quella massa di capelli scompigliati dagli occhi stanchi, e desiderò di non averlo fatto.

L’uomo in piedi di fronte a lui era completamente nudo.

Oh… mio… Dio…

Tutto ciò che Philip riuscì a fare fu guardare, a occhi sgranati, con la bocca aperta in una O perfetta di sorpresa.

L’uomo era incredibilmente alto, due metri e cinque o forse qualcosa in più. Se fosse stato possibile per una montagna reincarnarsi in una forma maschile, quell’uomo colossale avrebbe potuto benissimo esserlo. Aveva la pelle scura e abbronzata, liscia e completamente glabra, e se non fosse stato per la criniera di capelli neri come la pece che gli ricadeva sulla schiena, Philip avrebbe pensato che fosse nato senza nemmeno un pelo. L’uomo aveva una figura muscolosa e atletica, quasi da morirci, e la bocca di Philip si ritrovò secca quasi quanto il deserto che li circondava, mentre i suoi occhi percorrevano la vastità di quelle spalle larghe, di quel ventre tirato, di quei fianchi stretti e di quelle lunghe gambe forti… e quell’asta piena, perpendicolare nella sua quasi completa durezza, che stava proprio davanti a Philip. Lineamenti mascolini che sembravano scolpiti nel marmo, in conflitto con quelle labbra sensuali e lievemente socchiuse. Le palpebre chiuse si aprirono lentamente e Philip trattenne il fiato, colto dallo stupore e dall’adorazione per quegli occhi blu elettrico che brillavano misteriosi nell’ombra delle caverne, nonostante quei raggi di luce solare, più in alto, riflessi sulle pareti giallognole di roccia.

“Oh… mio… Dio…”

Nel bel mezzo della pausa pranzo, Philip non aveva nemmeno notato, fino a quel momento, quanto fosse silenzioso nella caverna. Almeno fino a quando la sua voce non riecheggiò intorno a lui.

L’estraneo nudo voltò il capo, solo un collare di pelle nera intorno al suo collo, e guardò Philip che ancora stava sdraiato sul terreno di fronte a lui, il busto sollevato e il peso appoggiato sui gomiti. Che spettacolo imbarazzante doveva essere per quell’uomo curioso, pensò Philip arrossendo violentemente.

Un lampo blu rischiarò lo sguardo dell’uomo mentre studiava la figura di Philip da capo a piedi, e le sue lunghe ciglia gli oscurarono gli occhi come delle tende nere. “Inglese. Quindi non mi sono immaginato tutto il chiacchiericcio britannico che ho sentito nel corso degli anni, dopotutto.”

Essendo mezzo inglese e mezzo americano, Philip aveva dei residui dell’accento inglese di Oxford e quello sconosciuto l’aveva copiato impeccabilmente. Quello zittì subito Philip.

“E tu chi saresti?” chiese l’uomo, la testa chinata lievemente di lato cosicché i lunghi capelli neri, così neri che quasi assorbivano la luce del sole, ricaddero al suo fianco, quasi fino alla vita.

Sorpreso e meravigliato, Philip riuscì a balbettare “Um, Pip…” L’uomo sollevò un sopracciglio, divertito, e Philip arrossì di nuovo, scuotendo il capo per cercare di fare chiarezza nella propria mente, completamente offuscata dall’eccitazione. “Voglio dire… Philip Butler. Sono un archeologo.” Quella frase si guadagnò un’altra occhiata curiosa da parte di quell’uomo da infarto. La sua figura si spostò leggermente e i muscoli si tesero e si mossero sotto quella pelle scura, come fosse una bestia maestosa. “È lo studio della società umana attraverso artefatti del passato, come manufatti, strutture, reliquie culturali…” La sua voce andò a scemare e Philip cercò di capire qualcosa dell’uomo che aveva di fronte; se stava ascoltando oppure se era interessato al discorso, almeno, ma il suo sguardo rimase lo stesso: un’occhiata divertita e curiosa ma distaccata, con un leggero bagliore a illuminargli gli occhi e le labbra lievemente curvate all’insù. “Comunque sono qui per studiare queste rovine,” aggiunse, indicando in giro con un gesto generale della mano, mostrandogli lo stato decadente di quelle strutture che un tempo avevano costituito il palazzo in fondo alla caverna di Majlis al-Jinn, stendendosi ben oltre a quello che era soltanto roccia solida.

Allora lo sguardo dell’uomo cambiò, diventando più scuro e pericoloso per un istante, mentre il suo sguardo ispezionava il sito archeologico, prima di atterrare su Philip. “Puoi vedere la città?”

Quella risposta Philip non se l’era proprio aspettata. “Sì…”

“Devi essere speciale, allora,” disse l’uomo, la voce morbida e seducente, lo sguardo ora più deciso mentre vagava su tutto il corpo di Philip.

“Io, uh…” borbottò Philip, lottando per avere un po’ di chiarezza e comprensione, ma non riuscendo in nessuna delle due cose, e in tutto quel tempo quegli occhi brillanti avevano percorso il viaggio lungo tutta la sua figura, facendogli venire la pelle d’oca e facendogli sollevare l’uccello sull’attenti.

Come se fosse consapevole della reazione che stava causando, l’uomo avanzò, sempre nudo, e tese la mano. “Vieni, permettimi di aiutarti a rialzarti…” Un forte rumore metallico lo fermò e la lampada a olio, che doveva accidentalmente aver calciato, saltò in avanti e scivolò sul terreno sabbioso, atterrando ai piedi di Philip. Chinandosi a raccogliere la lampada, le dita dell’uomo raccolsero solo l’aria quando la lampada si mosse lontana dal suo tocco, come se avesse una mente propria, saltando sulle gambe di Philip.

“Oh… mio… Dio…” Philip mormorò, stringendo al petto l’antica lampada a olio e fissando l’insolito uomo con occhi sgranati, come un bambino sorpreso che vede Babbo Natale scendere davvero giù dal camino.

L’insolito uomo sogghignò. “Tristemente, no. Ma ne sono lusingato.”

Philip aggrottò la fronte. “No, intendevo…” Il ghigno dell’uomo si allargò, come quello dello Stregatto, e le guance di Philip si arrossarono, mentre si rialzava velocemente in piedi, stringendo forte la lampada. “Tu… Tu sei un… un genio… un genio della lampada…”

“Il termine corretto, credo, è Jinn,” lo corresse l’uomo, le sue labbra sensuali si curvarono in un sorriso dolce che fece tremare le ginocchia di Philip. “Ma in generale sì, è una descrizione abbastanza accurata.”

Mentre Philip era occupato a guardare quell’apparizione mistica davanti ai suoi occhi, lì in piedi di fronte a lui in carne e ossa, così tanta carne, sentì improvvisamente delle voci in lontananza che si avvicinavano rapidamente. Qualcuno stava arrivando, discendendo attraverso il palazzo principale dalle scale o dall’ascensore che erano stati aggiunti poco dopo la Grande Rivelazione, quando era diventato chiaro che sul fondo del sito vi era una lussuosa città che si estendeva in profondità in quello che un tempo era stata solo semplice roccia.

“Oh mio Dio…” borbottò terrorizzato, fissando in direzione delle voci, perso tra le ombre delle strutture regali che ora giacevano in rovina.

“Lo dici molto spesso,” notò l’uomo al suo fianco. “C’è una qualche divinità in particolare che stai cercando di invocare?”

“Che…” Lo sguardo fisso di Philip si mantenne concentrato su quegli occhi blu elettrico che ora gli stavano abbastanza vicini da permettergli di vedere piccole striature più chiare, potenti oltre ogni immaginazione. Dovette scuotere il capo per schiarire la propria visione e la propria mente da quell’uomo bizzarro. “No. Non parlare.”

“Non apprezzo molto gli ordini che non sono presentati come desideri.” Un avvertimento era ben udibile in quelle parole, come uno squalo che si aggirasse nelle acque poco profonde del laghetto in cui Philip nuotava.

“Che…” Incidentalmente Philip si accorse di sembrare un disco rotto e arrossì violentemente. “No. Non è quello che intendevo dire.” Il suono di passi e voci si avvicinò e Philip si fermò raggelato. “Per favore, non parlare. Fammi gestire la cosa. Per favore?” Gli occhi nocciola di Philip implorarono il… genio di avere un po’ di comprensione.

Improvvisamente l’uomo si rilassò di nuovo e sogghignò facendogli l’occhiolino. “Come desideri, Pip.”

Arrossendo per l’ennesima volta, Philip si ricordò improvvisamente che l’uomo, il genio, era ancora completamente nudo. “Oh mio Dio…” mormorò mentre gli occhi correvano, con orrore e reverenza, sulla figura mascolina davanti a lui. Quel movimento fu accolto da una risatina breve e divertita in risposta. Philip iniziò a credere che la combustione umana spontanea sarebbe stata preferibile a tutto quell’arrossire.

Salutando qualcuno, Valdemar apparve sulla scena con il suo solito sorriso rilassato e i suoi occhi allusivi. Philip pensò che avrebbe subito un serio crollo nervoso appena fosse entrato a contatto, faccia a faccia, con un genio della lampada nudo.

E infatti, gli occhi blu come il cielo di Valdemar si accesero come un falò nel vedere il visitatore misterioso di Philip. Anche attraverso quella stilla di gelosia senza speranza e di invidia che scorrevano tra le sue vene, Philip provò a parlare, per spiegare in qualche modo la situazione… anche se non aveva idea di come, esattamente. Finì per aprire le labbra senza però dire nulla, richiudendole poco prima di farci entrare delle mosche… non che ce ne fossero poi così tante nel deserto.

“E tu chi saresti?” chiese Valdemar, ancora sorridendo. E, spaventato a morte, Philip si voltò a guardare il genio… che stava indossando dei vestiti. Erano simili a quelli indossati da Philip: dei semplici pantaloni color cachi, una camicia bianca e degli stivali marroni da montagna. Sul genio, però, i vestiti non erano appesi in modo poco lusinghiero come su Philip, che era sottile e ossuto: gli calzavano invece a pennello, mostrando quel perfetto fisico mascolino come fossero una seconda pelle. Per quanto riguardava i colori, fondamentalmente, Philip, come il genio, avrebbe potuto mimetizzarsi come un camaleonte nel deserto che li circondava, se avesse voluto. A volte si sentiva invisibile, a discapito di quello che indossava.

Come in quel momento, mentre il tizio su cui aveva fantasticato per anni stava fantasticando sul suo genio.

Ora, quello era un pensiero strano, Philip considerò casualmente, e lanciò uno sguardo al genio, che gli sorrise lascivo, così arrossì di nuovo.

“Sono un amico di Pip,” replicò il genio senza troppi giri di parole.

“Pip, huh?” disse Valdemar; il suo sguardo si spostò su Philip che quasi espresse il desiderio di farsi ingoiare completamente dal terreno.

Ma non ottenne ciò che desiderava. Ottenne invece… “Un amico intimo,” chiarì il genio, ammiccando a Philip in modo da lasciare veramente pochi dubbi nella mente di tutti su ciò a cui si riferiva. Il lampo di calore che colpì l’inguine di Philip portò il suo uccello in un contatto doloroso con i confini della cerniera dei pantaloni, e dovette spostarsi sul posto per allentare un po’ la pressione.

Philip spostò lo sguardo dagli occhi blu elettrico del genio agli occhi azzurri come il cielo di Valdemar. Che triangolo strano che formavano, ponderò Philip mentre osservava Valdemar, che osservava il genio, che osservava Philip che osservava…

All’improvviso il genio disse qualcosa, ma Philip non ne comprese le parole. Gli occhi di Valdemar si ingrandirono e sorrise felice. Accorgendosi che il genio aveva parlato in norvegese, la delusione di Philip di essere stato lasciato fuori dall’equazione ancora una volta crebbe. Valdemar rise e diede una pacca giocosa al braccio del genio, mantenendo il contatto sulla sua pelle giusto il necessario per non farlo sembrare accidentale ma quasi un messaggio sensuale. Mentre i due parlavano, Philip si sentì come si sentiva sempre alla presenza di Val: poco importante, per nulla attraente, deluso e geloso.

“È così bello poter conversare nella mia lingua madre,” disse finalmente Valdemar, lanciando uno sguardo a Philip da sotto le sue lunghe ciglia bionde, includendolo così nella conversazione, ma per quanto riguardava Philip era un pochino troppo tardi. Come al solito era la ruota di scorta. “Ehi, pranzo?” aggiunse Valdemar con un entusiasmo esagerato, muovendo lo sguardo tra i due uomini, mentre batteva le mani in un piccolo applauso.

Philip rifiutò con un piccolo movimento del capo e il genio disse soltanto: “Purtroppo, devo rifiutare. I miei appetiti richiedono un’adesione a regole dietologiche molto strette.”

“Un’altra volta, allora,” rispose cortesemente Valdemar, chinando appena il capo in una maniera molto galante che Philip trovò affascinante e irritante. Voltandosi verso Philip, Valdemar alzò le sopracciglia. “Hai già catalogato quella lampada, Pip?” Fece un cenno del capo verso la lampada a olio che Philip stava ancora stringendo al petto; istintivamente Philip la strinse di più, come se Valdemar stesse cercando di rubargliela dalle mani.

“La aggiungerò all’inventario del sito a breve, ma devo andare a controllare l’esatto punto del ritrovamento, prima,” disse Philip, sperando di riuscire a mantenere il suo tono di voce il più normale possibile.

Negli occhi di Valdemar scattò un lampo e aprì le labbra come per chiedere qualcosa, ma poi semplicemente fece spallucce, ripensandoci. “Ok, allora. Non dimenticarlo, però,” lo ammonì. Poi lanciò uno stupendo sorriso al genio e si incamminò verso l’ascensore.

Philip si lasciò scappare un lungo sospiro, come se avesse trattenuto il fiato per tutto il tempo, ma anche quel sospiro non fu sufficiente a rilassarlo completamente. Sospettava che portare indietro il tempo al momento in cui la lampada era stata ritrovata, e impedirne il ritrovamento, sarebbe stato l’unico modo per stare meglio.

Ma in quel momento il genio sexy che gli stava di fronte era troppo reale per fare finta che non lo fosse.

“È lui il tuo primo desiderio, quindi?” chiese il genio all’improvviso, facendo sobbalzare Philip. “Riesco a vedere che lo desideri.”

“Che…“ Philip era sbalordito. “Desiderio?” E poi la realtà della situazione finalmente si fece chiara anche per lui. Aveva un genio a sua disposizione e poteva desiderare qualsiasi cosa: anche Valdemar Velde nel suo letto. La possibilità che quel sogno potesse avverarsi lo fece tremare fin nel midollo, cosa che lo sorprese, visto che non aveva mai pensato a se stesso come un tipo possessivo. “Oh Dio. Ho bisogno di una sedia o qualcosa del genere,” mormorò sentendosi tremare le gambe e cedere le ginocchia.

Il genio ridacchiò profondamente. “È una sedia il tuo primo desiderio, Pip?”

Quel tono seducente, roco e divertito fu come un secchio di acqua ghiacciata lungo la sua schiena, ed era esattamente ciò di cui aveva bisogno per calmarsi. “Ah ah, davvero divertente.” E poi, prendendo a osservare il genio nel modo più calmo possibile, chiese: “Qual è il tuo nome? Come posso chiamarti?”

Il genio sogghignò provocante. “In qualunque modo tu desideri, Pip.”

“Divertente,” disse Philip esasperato, ma poi prese un respiro per calmarsi di nuovo. “Per favore?”

Le labbra piene e così baciabili del genio si curvarono in un sorriso curioso. “Sei davvero un piccolo bizzarro mortale…” Oh, non ne hai idea. “Non mi è più concesso usare il mio vero nome, quindi puoi chiamarmi Jinn.”

“Perché non ti è concesso dire il tuo nome?”

“Tu che ne pensi, Pip?”

“Ha qualcosa a che fare con il motivo per cui eri intrappolato nella lampada?”

“Molto bene,” si complimentò Jinn, sorridendogli lascivo. “Il mio nome è stato aggiunto alla lista di quelli maledetti, come quelli di molti altri. Una punizione per il mio modo malizioso di vivere la vita.”

Philip aggrottò la fronte. “Cos’hai fatto?”

“Quella, credo, è una discussione che sarebbe meglio intrattenere un’altra volta,” disse vagamente Jinn.

“Um, okay,” concordò Philip, insicuro. Era diventato un archeologo perché si trovava meglio con cose morte e da tempo andate perse piuttosto che con persone presenti e vive. “Come puoi parlare inglese? O norvegese, per quanto possa essere importante?”

Jinn ridacchiò in risposta. “Sono un genio. Del tuo amico Val potevo sentire i suoi sogni mai rivelati. Essendo un genio che può esaudire tutte le volontà, sono al corrente di tutti i desideri più nascosti della razza mortale.” Jinn poi gli fece l’occhiolino. “Così come posso percepire le tue speranze e i tuoi sogni, Pip. Per esempio, quanto desideri Val.”

Philip arrossì e si morse il labbro inferiore, arrabbiato. “È una cosa privata. E non sono affari tuoi.”

Jinn fece spallucce, ma i suoi occhi si illuminarono concentrati. “Il tuo amico…”

“Collega,” corresse Philip, visto che Valdemar non era nessuno di personale per lui.

“Poteva vedere anche lui questo posto. Una persona, coincidenza. Due, non così tanto. È successo… qualcosa?”

Lasciando fuoriuscire un respiro profondo dalle labbra, Philip annuì con cautela. “La Grande Rivelazione. Dieci anni fa il Velo tra il Mondo Nascosto e il mondo ordinario è stato sollevato. Non sappiamo ancora perché e potremmo non saperlo mai.” Sospirando mestamente e sedendosi per terra, Philip sussurrò, “Quindi… non sono speciale.”

Jinn si inginocchiò di fronte a lui con un sorriso stranamente tenero a sollevargli gli angoli delle labbra. “Non sono d’accordo con quell’affermazione, ma quello è un altro discorso. L’intero mondo lo sa, quindi? Beh, è certamente qualcosa di nuovo a cui abituarsi.”

“Un desiderio…” mormorò Philip con un filo di voce, osservando il genio di fronte a sé. I lunghi capelli neri di Jinn gli sfioravano le mani posate sulle ginocchia piegate. “Quindi sei davvero un genio…”

“Lo sono davvero, mio caro ragazzo,” rispose Jinn, ridacchiando. A quanto pareva, trovava Philip troppo divertente per considerarlo in un qualsiasi altro modo.

“Quindi…” Philip, pensieroso, seguì il treno dei pensieri fino ad arrivare alla conclusione, sfiorando la lampada tra le sue mani. “Anche se sei in piedi, o in ginocchio, davanti a me, in realtà sei intrappolato nella lampada a olio. Cavoli, non puoi nemmeno toccarla.” Guardò il genio negli occhi, che si illuminarono come una pioggia di fulmini, confuso dall’insolita piega presa dalla giornata, ma comunque ancora se stesso, indipendentemente da quanti miracoli fossero racchiusi in un giorno solo. “Posso desiderare la tua libertà?”

Quegli occhi di un blu penetrante brillarono pericolosamente. “Così sprecheresti un buon desiderio su di me, non è vero Pip?” Il tono neutrale di Jinn rimase indecifrabile, ma per una ragione sconosciuta la sua profondità fece venire a Pip la pelle d’oca.

Aggrottando la fronte e umettandosi le labbra, Pip scosse il capo, infuriato. “Non lo considero uno spreco. Ma sì, lo farei. Posso?”

Improvvisamente Jinn ridacchiò soddisfatto. “La tua risposta dimostra una grande personalità e un animo gentile e premuroso. Mi onori, Pip.” Jinn chinò il capo lentamente, ponendo le mani sul proprio cuore, prima di continuare pacato, “Di certo sei molto dolce, Pip. Ma non è necessario che tu compia un così grande sacrificio per me, te lo assicuro.” Jinn offrì la sua mano a Philip, che la prese grato e si rialzò. “Quindi, quale sarà il tuo primo desiderio, padrone?”

Philip scosse il capo veemente, imbarazzato. “Per favore, non mi chiamare così.”

Jinn ridacchiò. “Come desideri.”

Sentendo veramente il sangue defluire dal viso, Philip balbettò “No, no, non era un…“

“Un semplice scherzo, Pip,” lo interruppe Jinn, facendogli l’occhiolino e facendo nascere in Philip un misto tra eccitazione e fastidio.

“Con quella lingua biforcuta che hai, non sono per nulla sorpreso che ti sia ritrovato imprigionato in quella lampada,” sbuffò Philip, esasperato. Ma nel vedere il sorriso sensuale di Jinn, l’emozione si vaporizzò e tutto ciò che rimase fu una morbida soddisfazione. Poi la preoccupazione s’impadronì di lui e guardò la lampada che ancora stava stringendo. “Che ne farò di questa?”

Lo sguardo infuocato di Jinn cadde a sua volta sulla lampada e la curva delle sue voluttuose labbra si raddrizzò donandogli un’espressione seria. “Tienila nascosta fino a quando non avrai espresso tutti e tre i desideri.”

La paura fece entrare Philip nel panico; sapeva esattamente di somigliare a un bambino spaventato, ma nonostante fosse consapevole di poter uccidere per qualcuno che amava, nel profondo Philip era un pacifista convinto. Per questo la paura sembrava sempre la sua prima reazione, e lo innervosiva tremendamente. “Vuoi dire che qualcuno potrebbe…”

L’espressione di Jinn era mortalmente seria. “Sì. Devi tenere al sicuro la lampada da chiunque potrebbe cercarla per portarla via, e me con lei, da te.” Velocemente, però, il suo viso si rilassò e riacquistò quell’espressione regale che faceva tremare le ginocchia di Philip come se fossero gomma. “Se tutto va come deve andare, tu sarai il mio ultimo padrone, Pip. Ora che ne sei a conoscenza, per favore, desidera qualcosa di selvaggio e innovativo.”

“Cosa intendi dire con ultimo padrone?” chiese Philip, curioso.

“La Rivelazione. I Jinn sono creature molto potenti e i mortali possono possederci soltanto fino a quando il mondo rimane inconsapevole della nostra vera natura. Ora come ora il mondo sa della mia specie. Mettermi in schiavitù non sarà mai più così facile per un mortale, visto che le regole che legano il nostro mondo alla riservatezza e a una condotta di schiavitù sono da lungo tempo andate perse, con la Rivelazione e tutto.”

“Oh, capisco,” disse Philip visibilmente rilassato. “Ecco cosa intendevi quando mi hai detto che non c’era bisogno che io desiderassi la tua libertà.” Jinn chinò semplicemente il capo, confermando la realizzazione di Philip. Un’improvvisa esplosione di possibilità esaltanti scacciò via la paura e la debolezza di Philip e lo fece arrossire. “Puoi fare veramente tutto quello che desidero?”

Avvicinandosi a lui fino a quando i loro petti furono l’unico punto di contatto, Jinn sogghignò. “Tutto ciò che il tuo piccolo cuore mortale può desiderare, Pip. Noi Jinn siamo esseri molto potenti. Possiamo cambiare il mondo con uno schiocco di dita, viaggiare nel tempo, dare un soffio di vita a ognuna delle tue fantasie. In una parola, sì, tutto. Ma ricordati sempre che hai solo tre desideri. Non desiderarne altri cento, capito? Quel tipo di desiderio mi farebbe solo arrabbiare.”

Sapendo nel suo cuore di aver bisogno di un po’ di tempo per riflettere su tutto ciò che aveva sentito, Philip sapeva anche che tenere la lampada nascosta sarebbe stato praticamente impossibile. In superficie il sito della spedizione era composto da non più di nove tende e non aveva alcuna sicurezza, tranne una recinzione in alluminio che chiunque avrebbe potuto scavalcare e una ronda settimanale di un corpo di guardia locale ben poco efficiente. Non era assolutamente sufficiente a proteggere la lampada, se l’avesse mai menzionata a qualcuno. E se non l’avesse fatto, avrebbe dovuto nasconderla tra le sue cose, in una tenda aperta e completamente priva di serrature; e se qualcuno l’avesse trovata, sarebbe stato condannato per tentato furto e la sua carriera sarebbe stata chiusa e finita.

Mordendosi il labbro inferiore nervosamente, Philip si rese conto che aveva solo due opzioni. Una era di confidarsi con qualcuno di cui si fidava e, nonostante i suoi forti sentimenti amorosi nei confronti di Valdemar, non era per niente sicuro di quanto l’uomo fosse affidabile, visto che era un professionista esperto ed eticamente corretto quasi fino all’eccesso. E non aveva molta scelta, comunque: anche se Valdemar fosse stato disponibile ad aiutarlo, Philip avrebbe messo la sua carriera, e forse anche la sua vita, in pericolo, e non era una cosa che era pronto a rischiare.

Sospirando alzò lo sguardo su Jinn, rassegnato. “Puoi rendere la lampada piccola abbastanza così che io possa nasconderla su di me, per esempio come un… un giocattolo che penzola da un portachiavi o qualcosa del genere?”

Quelle labbra sensuali e piene si curvarono in un sorriso curioso, come se il genio stesse cercando di decifrare il puzzle che era Philip, solo che lui si sentiva troppo noioso e poco interessante per essere considerato un mistero. Era il completo opposto di Valdemar, che aveva tutto: bellezza, carisma, un sex appeal magnetico, intelligenza, modi sofisticati e una personalità brillante e divertente; Philip stava iniziando a deprimersi con ogni minuto che passava. La risposta di Jinn lo strappò via da quel cupo sogno a occhi aperti. “Posso fare qualunque cosa tu desideri, Pip, te l’ho detto.”

Philip annuì lentamente. “Ma solo se la richiesta è presentata come un desiderio, giusto?”

Jinn chinò lievemente il capo. “Esattamente, padrone. Potrò usare i miei poteri liberamente solamente quando sarò libero. Non prima. Fino a quando sarò legato alla lampada, i miei poteri sono limitati ai desideri richiesti.” Lo sguardo accattivante del genio passava dagli occhi di Philip alla lampada magica che teneva contro il suo cuore palpitante.

Esalando lentamente, Philip annuì in segno di accettazione di quella decisione. “Quindi devo supporre che il modo in cui si formula una frase sia la chiave qui, giusto? Lasciamo perdere, non rispondere. D’accordo, iniziamo.” Prendendo diversi respiri profondi, come se si stesse preparando per uno sforzo fisico, Philip disse deciso: “Desidero che tu riduca questa tua magica lampada a olio a una dimensione più ridotta in modo tale che io possa appenderla a questo…” Philip si tirò fuori il portachiavi dalla tasca. “A questo portachiavi.”

Un lampo di luce brillante uscì da quei penetranti occhi blu, come un fulmine che si scarica a terra, ma anche se accecato, Philip sentì distintamente lo schiocco delle potenti dita di Jinn. “Il tuo desiderio è un ordine.”

Sbattendo le palpebre per riconquistare la vista perduta, Philip riuscì a sentire, più che vedere, la lampada magica restringersi tra le sue mani fino a quando non poté toccare altro che un piccolo giocattolo appoggiato al palmo della mano destra. Velocemente si mise ad attaccare la lampada magica, ormai delle dimensioni di un gingillo, al suo portachiavi, appendendola dal manico, guardandosi intorno in un modo che poteva essere descritto solo come estremamente paranoico. E comunque era preoccupato che qualcuno lo avesse visto e arrivasse presto a portargli via Jinn e a porre fine al mondo con i suoi desideri egoisti di potere. Sì, per Philip il bicchiere era principalmente mezzo vuoto ed era sempre in attesa che il peggio stesse per arrivare. Non era un modo di vivere sano, lo sapeva, e credeva che gli sarebbe venuta un’ulcera grande quanto il Grand Canyon entro i trentacinque anni.

Sospirando di sollievo mentre riponeva il portachiavi nella buia e calda sicurezza offerta dalla sua tasca, Philip si permise un mezzo sorriso. “Bene, questa è fatta.”

“Sì.” Jinn gli sorrise di rimando… solo che quel sorriso era quasi predatorio. “Uno è andato, ne rimangono due.”

Ora, perché quelle suonavano come le ultime parole famose? Philip si interrogò, preoccupato. Si dovette sforzare molto per respingere la preoccupazione e per far muovere la propria figura sottile verso l’ascensore nell’atrio a forma di stella del Khoshilat Beya Al Hiyool, anche conosciuto come Asterisco, e verso il campo della spedizione che li attendeva al piano superiore. Nascondere il genio si sarebbe rivelato difficile per chiunque, ma Philip aveva giurato a se stesso di tenere Jinn al sicuro. Nessuno si sarebbe approfittato di lui.

Nemmeno Philip stesso.

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