L'Angolo di Matesi: "ENEA E DIDONE. UNA COPPIA".


L'amore ai tempi di Virgilio: Enea e Didone. Ce ne parla Teresa Siciliano nel suo nuovo articolo dedicato ai rapporti uomo-donna all'interno dei romanzi!

Ultimamente nella letteratura rosa si affronta spesso la questione sui rapporti uomo-donna all’interno della coppia. Negli anni del femminismo abbiamo rivendicato i nostri diritti (e non è che avessimo torto). Ma forse ora, a distanza di tanti anni, potremmo considerare quali cambiamenti quella battaglia memorabile abbia apportato ai comportamenti maschili e femminili. Mi ricordo di una mia alunna di 15 anni, molto intelligente, che già allora non sopportava Didone: una che si va a suicidare per amore, diceva, si può essere più sceme?
Ma in che modo nel corso degli ultimi duemila anni si è formato il concetto di coppia all’interno del sistema patriarcale?
Didone è una regina e una vedova: ha conosciuto il tradimento e l’inimicizia di suo fratello e tuttora le difficoltà di gestire il potere in una società maschilista, ha conosciuto anche l’amore per il defunto marito Sicheo. Forse non il grande amore, come noi oggi lo intendiamo, ma certo un legame solido e rassicurante. E poi… e poi arriva Enea: il figlio di una dea, un eroe bellissimo e affascinante, un capo abituato a tenere i suoi sotto controllo e che potrebbe essere sostegno per il suo trono. Per lei è un colpo di fulmine, è una passione divorante. Virgilio ci descrive i sentimenti della regina con grande penetrazione e finezza psicologica. Nulla invece ci dice su cosa prova Enea. Si ha l’impressione che per lui si tratti di una pausa, di un conforto: è così stanco! Più volte ha provato a stabilirsi in una delle terre in cui è approdato e sempre dalle circostanze e da oscure profezie è stato spinto a ripartire e mettere tutto di nuovo a rischio. Difatti la pausa non durerà a lungo neanche questa volta: un messaggio degli dei gli chiarirà una volta per tutte che il suo futuro non è a Cartagine. Il suo popolo non si assimilerà con i Punici, perché è destinato ad un futuro più grande.
Nei secoli Enea non ha trovato molti difensori: un po’ lo si è visto come il tipico maschio che “dopo” dice “Io non ti ho promesso niente”, volta le spalle e se ne va. Ma Virgilio davvero la pensava così?
In realtà qui siamo di fronte al capostipite della gens Iulia e del popolo romano. Il cittadino romano non è un uomo qualunque, che può mettere la propria vita personale e la propria famiglia prima di tutto il resto. Ricordiamoci che, all’epoca in cui Virgilio scriveva l’Eneide, qualcuno l’aveva fatto. Antonio, un grande e geniale generale, quello che si riteneva il vero erede di Cesare, aveva scelto di governare l’Egitto e la parte orientale dell’impero, aveva ripudiato la moglie romana e sposato Cleopatra, addirittura aveva deciso di lasciare i suoi possedimenti alla sua nuova famiglia. Sacrilegio! Tradimento! Perché primo dovere del cittadino romano è sempre Roma. A questo ideale molti eroi del passato avevano sacrificato anche gli affetti più cari: agli albori della repubblica il console Bruto, ad esempio, aveva mandato a morte i suoi figli, che avevano complottato per far ritornare sul trono Tarquinio il Superbo.
Se pensiamo a questo, capiremo facilmente che Virgilio non può che stare con Enea. Per lui, come per tutti i suoi contemporanei che contavano, il dovere, quello che sentivano come il loro destino, veniva innanzi a tutto. Catullo e Properzio avevano fatto scelte diverse, ma erano scelte imbarazzanti e sconvenienti e peccaminose. Inaccettabili.
Per questo Virgilio accentua gli aspetti sfrenati e in qualche modo folli di Didone, ancora più di quanto avesse fatto Orazio nella celebre ode su Cleopatra e il suo suicidio. La rappresenta mentre corre senza dignità fra la reggia e le navi di Enea, mentre si batte appassionatamente quasi fino alla fine contro la decisione del suo uomo, per poi scegliere la morte e lanciare dal rogo che sta per essere acceso l’ultima maledizione: “ Nessun amore ci sia / mai tra i nostri due popoli, nessun patto. Ah, sorga, / sorga dalle mie ossa un vendicatore, chiunque / egli sia, e perseguiti i coloni troiani / col ferro e col fuoco, adesso, in avvenire, sempre / finché ci siano forze! Io maledico, e prego / che i lidi siano nemici ai lidi, i flutti ai flutti, / le armi alle armi: combattano loro e i loro nipoti”. È l’inimicizia inestinguibile e mortale fra due popoli, l’ombra di Annibale che si stende sul futuro. Ma nel futuro Annibale sarà vinto anche lui e anche lui indotto al suicidio.
Eppure, mentre racconta questi eventi, mentre sostiene questa tesi, mentre la guarda sprofondare verso la morte, Virgilio circonda di affetto struggente la figura di Didone e rende anche lei, la sconfitta, immortale.

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5 commenti:

  1. Un articolo davvero affascinante ed un'analisi che condivido!

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  2. Angela Pesce Fassio23 marzo 2016 alle ore 12:19

    Lo confesso, non ho mai provato simpatia per Enea, il solito maschio egocentrico, e neanche per Didone, un modello femminile che già ai tempi della scuola consideravo superato. Ciò premesso, questo articolo e l'analisi sono davvero eccellenti e offrono una visione alquanto diversa.

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  3. ho sempre amato la mitologia e la storia antica e se avessi avuto una professoressa come Matesi quando ero sui banchi di scuola sarebbe stato il massimo!davvero un bellissimo articolo

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  4. Siete tutte tanto gentili. Grazie.

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  5. Analisi fantastica. Nemmeno io ho amato Enea, e per Didone, consumata dal suo sentimento, ho sempre provato una punta di pena.

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