Recensione: RECENSIONE “IL TUNNEL” di Abraham B. Yehoshua


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Autore: Abraham B. Yehoshua
Genere: Narrativa
Editore: Einaudi
Pagine: 344
Prezzo: €. 6,99
Uscita: 4 dicembre 2018



Sinossi
Zvi Luria ha poco più di settant'anni quando un neurologo gli diagnostica un principio di demenza senile. All'inizio la malattia lo porterà soltanto a commettere piccole distrazioni, sbagliare un nome, confondere un altro bambino per suo nipote, oppure visitare il letto di uno sconosciuto in ospedale convinto di essere al capezzale di un vecchio amico in coma. Poi però tutto diventerà più duro e passo dopo passo la sua lucidità finirà con l'essere completamente compromessa. Zvi però è sempre stato un uomo preciso e pragmatico, prima di andare in pensione aveva lavorato come capo ingegnere ai lavori pubblici, e non riesce ad accettare di essere destinato in breve tempo a fare una fine del genere. Sua moglie Dina, una pediatra di fama legata a lui da un amore ancora tenero, lo sa benissimo, e lo convince ad aiutare Assael Maimoni, che ha preso il suo posto ai lavori pubblici. Maimoni sta però lavorando al progetto di un tunnel segreto, che trascina Zvi nel cuore del conflitto israelo-palestinese. In mezzo a questo caos mentale e geopolitico Zvi a un certo punto rischia di perdere anche Dina, la sua unica ancora di salvezza... Come può un uomo che è sempre stato affidabile e solido, un punto di riferimento per famiglia e amici, un ingegnere, scendere a patti con il proprio inevitabile declino mentale? Come possono farlo sua moglie e i suoi figli? Come ci si comporta di fronte alla razionalità che lentamente svanisce? E come si affronta la paura? Yehoshua costruisce intorno a queste domande una toccante meditazione sull'identità e sull'amore, sui gesti che è necessario compiere prima di congedarsi. Una vicenda intima e privata che s'intreccia a doppio filo con quella collettiva e politica del popolo palestinese e di quello israeliano, vicinissimi eppure così distanti dal trovare un modo per esistere insieme.

 A CURA DI LA SABAUDA



Il romanzo è costruito in modo impeccabile, come un progetto ingegneristico: macro tematiche che interagiscono e che si incastrano alla perfezione.
L’amore coniugale tra Zvi e Dina viene mostrato nella malattia e in essa si rafforza. La diagnosi del neurologo preoccupa Zvi. Dina lo sprona a combattere, a non darsi per vinto, a seguire i consigli del dottore: continuare a lavorare seppure l’età sia avanzata, a mantenere attivo il cervello.
            “La cosa più importante è mantenersi attivi. Non si isoli, signor Luria, anche se fa fatica a
             riconoscere le persone. Non fugga la vita, al contrario. La cerchi, ci sguazzi”.
Zvi e Dina hanno un rapporto bellissimo, basato sulla conoscenza reciproca, sulla tenerezza. Una relazione dinamica e fondata sul bisogno reciproco.
            “Non ho intenzione di morire. Non solo perché ti amo ma anche perché qualcuno dovrà badare
             che, confuso come sei, tu non faccia diventare matti tutti quanti”.
La mancanza di memoria, da cui tutto parte, ha a che fare non solo con gli scambi di persona, ma con l’identità. Zvi dimentica solo i nomi e non i cognomi. I nomi rappresentano le identità individuali e specifiche, a differenza dei cognomi che rappresentano l’appartenenza familiare.
            “Quello che voglio o non voglio dire rimandiamolo a un altro momento, signor Zvi Luria.
             Restituiscimi il mio nome e io ti lascerò in pace”.
L’uomo è tormentato dalle conseguenze dell’atrofia, percepita come un buco nero che risucchia i nomi cancellando le persone. L’unico nome che ricorda benissimo è Hanadi, il vero nome in arabo di Ayalà, membro della famiglia di nabatei che per evitare un’accusa di illegalità, si nasconde nel deserto, grazie anche all’aiuto di Maimoni.
Il tunnel non è solo un compromesso per aiutare Hanadi e i suoi, ma diviene la volontà di unire i contrasti e le diverse identità dei due popoli, ebrei e palestinesi, nel desiderio di allargare le vedute di tutti, dove i due popoli potranno confluire in un unico stato.
            “I palestinesi sono ebrei che hanno dimenticato di esserlo”.
Yehoshua valorizza ciò che unisce le due popolazioni, non ciò che le separa. Hanadi è la via di comunicazione per avvicinarle e lo stesso tunnel, perforando il sottosuolo, mette in comunicazione le due realtà distinte senza snaturarle.
            “Solo la demenza mi consentirà di giustificare la costruzione di un tunnel in quella collina”.
 La stessa malattia di Zvi è unione; in ospedale si incontrano palestinesi e israeliani, in cui viene meno il peso delle identità. Medici e infermieri non dichiarano la propria appartenenza, ma curano e salvano la vita dell’altro.
            “In questo paese di solito si sente parlare di atti di crudeltà verso i palestinesi, non di quelli
             di solidarietà che salvano vite umane”.
L’anziano ingegnere cerca in ogni modo di non arrendersi alla demenza: esempio significativo è il tatuaggio sul braccio destro del codice numerico dell’antifurto dell’auto.
            “Chi vive secondo un codice sbagliato è un uomo imperfetto”.
La struttura del romanzo è suddivisa in settanta capitoletti, quasi come uno scongiuro alla perdita di memoria, mantiene fluidità, crea pause e permette al lettore di non smarrirsi tra i fatti. L’autore agisce sulla scrittura come suggerisce il dottore: sforzarsi di ricordare e non permettere che l’atrofia corroda il cervello e la nostra memoria, nutrendosi dei ricordi.
Suggestiva è l’ambientazione nel deserto del Negev, scelta politica dello scrittore per non dimenticare la lezione di Ben Gurion, padre dello Stato, seppellito proprio nel Negev.
Il romanzo è scritto con dolcezza, con linguaggio delicato e simbolico, ma allo stesso tempo è presente un leggero velo di humor che ingentilisce e rafforza tematiche non facili da trattare. È una storia da leggere, perché Abraham Yehoshua è uno scrittore da premio Nobel.




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